Con La Buona Novella di De André, i vangeli apocrifi irrompono nella scena musicale italiana e si guadagnano un posto d'onore nella cultura popolare. In questo articolo vedremo come l'autore ha rielaborato in maniera molto originale il materiale di base, mescolando fonti diverse ed aggiungendo spunti personali.
L'Album "La Buona Novella" esce nel 1970, quando Fabrizio De André è un cantautore ormai affermato. Nei suoi dischi narra con malinconica poesia l'umanità dolente che popola i bassifondi della sua Genova. Dalle sue opere traspare una visione del mondo di stampo sostanzialmente anarchico: l'autorità e la legge, lungi dal tutelare i più deboli, sono gli strumenti con cui i potenti del mondo consolidano e giustificano il loro incommensurato potere; la morale degenera in una ridicola ipocrisia in cui, ancora una volta, sono gli ultimi e gli indifesi a pagare il conto dei vizi dei forti. Nel clima infuocato del Sessantotto e della Contestazione, queste idee trovano un ampio eco nel mondo giovanile.
Verso la fine degli anni Sessanta, De André, in collaborazione con l'autore e produttore Roberto Dané, traspone questo schema di pensiero sulla sfera religiosa. Vede nella figura di Gesù il prototipo del rivoluzionario: è vittima, come sua madre prima di lui, di un sistema politico-religioso fondato su leggi inflessibili e disumane, spesso applicate con "due pesi e due misure" a seconda della classe sociale; si ribella, senza scadere a sua volta nell'odio e nella violenza, predicando un messaggio di amore, perdono e fratellanza. Ne esce, alla fine, una rilettura poco ortodossa ma certamente molto affascinante della vicenda evangelica, in cui Gesù è ammirato ed esaltato prima di tutto per le sue qualità umane, mentre la sua natura divina viene solo accennata con parole cariche di mistero.
C'è, e forse non poteva mancare visto il periodo, una vena polemica contro la Chiesa, accusata di essere diventata colonna portante di quel sistema violento ed ingiusto contro cui aveva lottato Gesù. Riecheggia in questa posizione una scuola di pensiero che ha attraversato i secoli, secondo cui la tradizione cattolica non è che una mistificazione del messaggio evangelico originale. Ritroviamo questo motivo nell'Islam, ma anche in tanti movimenti cristiani scismatici, dai Catari del Medioevo ai Protestanti.
Questo, dunque, è il contesto ideologico in cui matura "La Buona Novella", dieci canzoni che ripercorrono la vita di Maria e Gesù. Il materiale di base è fornito dai vangeli apocrifi, soprattutto il Protovangelo di Giacomo. L'autore difende questa scelta col desiderio di fornire punti di vista differenti da quelli ufficialmente accettati dalla Chiesa Cattolica. Oltre a questa motivazione mi sembra di poter dire che l'impianto narrativo di molti apocrifi, così vivido e ricco di sottotrame, ben si sposa con lo stile poetico di De André.
L'album si apre con "L'infanzia di Maria", brano che trae ispirazione dai primi capitoli del Protovangelo di Giacomo. Tuttavia, laddove l'apocrifo sottolinea il carattere soprannaturale della vicenda, il cantautore genovese si muove nella direzione opposta, evitando qualsiasi riferimento a prodigi o miracoli.
Infatti, il testo originale racconta di come Gioacchino ed Anna, non potendo aver figli, sprofondano in una grande angoscia. Le loro accorate preghiere vengono infine esaudite da Dio. Quando un angelo le annuncia che presto sarà madre, Anna promette di offrire il bimbo o la bimba in voto al Signore. Da questa gravidanza miracolosa nasce Maria. Per ottemperare alla promessa, all'età di tre anni la piccola viene affidata al Tempio di Gerusalemme, dove trascorrerà il resto della sua infanzia.
De André inizia la sua narrazione proprio in questo momento:
Forse fu all'ora terza forse alla nona
cucito qualche giglio sul vestitino alla buona
forse fu per bisogno o peggio per buon esempio
presero i tuoi tre anni e li portarono al tempio
presero i tuoi tre anni e li portarono al tempio.Non fu più il seno di Anna fra le mura discrete
a consolare il pianto a calmarti la sete…
Ecco che sei capitoli del Protovangelo, intrisi di pietà religiosa, vengono sovrascritti da un solo, lapidario verso: "forse fu per bisogno o peggio per buon esempio". Il racconto edificante dell'autore antico, spogliato della presenza di Dio, si trasforma nella storia tragica e melanconica di una bimba a cui vengono strappate le gioie e degli affetti dell'infanzia.
C'è però un dettaglio che De André cita e che in apparenza stona con la sua rilettura in chiave razionale:
Dicono fosse un angelo a raccontarti le ore
a misurarti il tempo fra cibo e Signore…
Come vedremo, questa figura dell'angelo ha la sua importanza nell'economia della storia.
La canzone prosegue rievocando gli eventi che portano allo sposalizio di Maria e Giuseppe. A dodici anni, i sacerdoti si vedono costretti a trovare un marito a Maria, essendo ormai giunta alla maturità.
Quando compì dodici anni, si tenne un consiglio di sacerdoti; dicevano: «Ecco che Maria è giunta all'età di dodici anni nel tempio del Signore. Adesso che faremo di lei affinché non contamini il tempio del Signore?»
Il Vangelo dell'infanzia dello pseudo-Matteo aggiunge che la giovane non era affatto intenzionata a sposarsi, preferendo una vita di castità.
Maria, tuttavia, rispondeva dicendo: «Dio si venera nella castità come risulta provato dall'inizio. […] E poiché posso offrire qualcosa di gradito a Dio, in cuor mio ho stabilito di non conoscere assolutamente uomo».
Così De André:
E quando i sacerdoti ti rifiutarono alloggio
avevi dodici anni e nessuna colpa addosso
ma per i sacerdoti fu colpa il tuo maggio
la tua verginità che si tingeva di rosso
la tua verginità che si tingeva di rosso.E si vuol dar marito a chi non lo voleva…
Il protovangelo racconta poi che la scelta di Giuseppe come futuro sposo di Maria fu espressione della volontà di Dio, manifestatasi attraverso un segno prodigioso:
Indossato il manto dai dodici sonagli, il sommo sacerdote entrò nel santo dei santi […] ed ecco che gli apparve un angelo del Signore, dicendogli: «Zaccaria, Zaccaria! Esci e raduna tutti i vedovi del popolo. Ognuno porti un bastone: sarà la moglie di colui che il Signore designerà per mezzo di un segno»
[…]
Giuseppe prese l'ultimo bastone: ed ecco che una colomba uscì dal suo bastone e volò sul capo di Giuseppe.
Al contrario nella canzone è "un destino sgarbato" a far ricadere la scelta su Giuseppe. In ogni caso, tanto negli apocrifi quanto nella canzone il povero falegname non pare in un primo momento particolarmente felice:
Ma Giuseppe si oppose, dicendo: «Ho figli e sono vecchio, mentre lei è una ragazza. Non vorrei diventare oggetto di scherno per i figli di Israele».
Analogamente:
"Quei sacerdoti la diedero in sposa
a dita troppo secche per chiudersi su una rosa
a un cuore troppo vecchio che ormai si riposa".
È da notare che quel "i sacerdoti la diedero in sposa" fa maliziosamente balenare l'idea che forse a qualche sacerdote del tempio facesse comodo che Maria non avesse uno sposo nel fiore degli anni, ma piuttosto una persona già anziana. Il brano si chiude con Giuseppe che si allontana dalla Giudea per seguire dei lavori, dettaglio questo mutuato dal Protovangelo (9,3).
La seconda traccia "Il ritorno di Giuseppe", rende bene il turbamento e lo sconcerto del vecchio falegname. Dopo una lunga traversata nel deserto, quando già assapora il profumo della sua terra, si aspetta di ritrovare una Maria poco più che bambina. Ad accoglierlo è invece una giovane donna, la cui figura tradisce inequivocabilmente una gravidanza ed il cui sguardo implora affetto e comprensione. Anche qui la fonte è il Protovangelo di Giacomo (13,1-14,1) anche se la rielaborazione artistica che ne fa De André dona all'intera vicenda un risvolto più umano e riflette una sensibilità più moderna.
De André inoltre usa un artificio interessante: nel Protovangelo questo episodio avviene dopo l'annunciazione, quindi il lettore sa già che cosa è avvenuto. Al contrario, chi ascolta la canzone è più portato ad immedesimarsi con Giuseppe, dal momento che questa è la prima volta che viene menzionata gravidanza di Maria.
Il "Sogno di Maria" è forse il punto cruciale dell'allontanamento dalla tradizione cristiana (canonica ed apocrifa). L'annunciazione, che in pressoché tutti i vangeli è ambientata di giorno ed in casa di Maria, qui viene trasformata in uno strano sogno notturno di cui è protagonista quel famoso angelo che le dava da mangiare nel Tempio; e proprio nel Tempio sembra confusamente ambientata. Forse è una mia impressione personale, ma la scena ricorda per certi versi il sogno del film "Rosemary's Baby", uscito nel 1968. È chiaro qui l'intento di instillare il sospetto che Gesù non sia solo una vittima, ma forse addirittura il figlio dei soprusi dei sacerdoti. Sebbene nemmeno gli apocrifi neghino la natura divina di Gesù, il Vangelo dell'infanzia di Matteo contiene una frase che potrebbe aver fatto da spunto al brano:
Dopo nove mesi, ritornò a casa sua e trovò Maria incinta. […]. Le vergini che erano con Maria gli dissero: «[…] Non sappiamo come in lei ci possa essere un qualche peccato. Se vuoi che ti confessiamo il nostro sospetto, non altri la rese incinta se non l'angelo del Signore».
Rispose Giuseppe: «[…] Può essere che qualcuno l'abbia ingannata fingendosi angelo del Signore». Così dicendo piangeva…
Sia nel Vangelo canonico di Matteo, sia nei due apocrifi fin qui citati, i dubbi di Giuseppe vengono fugati da un sogno:
Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli, infatti, salverà il suo popolo dai suoi peccati»
De André non riporta questo episodio, ma preferisce lasciare il testo aperto ad entrambe le interpretazioni: forse c'è qualcosa di divino in Gesù, o forse no; comunque non è su questa la questione fondamentale. In quanto a Giuseppe, lo sguardo di Maria gli è sufficiente per accettare la situazione:
E tu, piano, posasti le dita
all'orlo della sua fronte:
i vecchi quando accarezzano
hanno il timore di far troppo forte.
Questa breve canzone ci presenta un solare ritratto di Maria incinta: per la giovane donna è forse il periodo più felice vissuto fino a quel momento. Viene menzionato l'umore cangiante, un dettaglio riportato anche nel Protovangelo (17:2).
Inizia qui il lato B dell'album ed al gesto di girare il disco corrisponde una grande discontinuità narrativa: ci troviamo infatti proiettati nel momento drammatico della passione di Cristo. De André sorvola quindi sia sull'infanzia di Gesù, sia sulla sua predicazione. Al contrario la "buona novella" che dà titolo all'album viene raccontata attraverso il punto di vista delle persone che hanno conosciuto Gesù.
Questa canzone ci presenta un dialogo, quasi teatrale nella sua impostazione, tra Maria ed il falegname che sta costruendo le tre croci su cui saranno giustiziati Gesù e due ladroni. Il tutto è accompagnato dal coro della gente di Gerusalemme. De André pone l'accento sul messaggio "pacifista" di Gesù e sulla conseguente repressione da parte dell'autorità:
…tre croci, due per chi disertò per rubare,
la più grande per chi guerra insegnò a disertare
È un episodio piuttosto originale, nel senso che non trova una corrispondenza diretta con il contenuto dei Vangeli. L'atmosfera del momento, la traumatica presa di coscienza da parte di Maria, può essere stata ispirata dalla profezia di Simeone nel Vangelo di Luca ("e anche a te una spada trafiggerà l'anima"). Altra suggestione è la storia del legno della Croce, contenuta nella Legenda Aurea del monaco medievale Jacopo da Varazze. Si narra che gli Ebrei costruirono la traversa della croce con il legno di un albero cresciuto sulla tomba di Adamo, germogliato da semi donati dall'Arcangelo Michele a Seth. Le origini di questa legenda si possono riscontrare in testi apocrifi come l'Apocalisse di Mosè, la Vita di Adamo ed Eva ed il Vangelo di Nicodemo (in particolare il racconto della discesa di Gesù agli inferi).
In questa canzone De André racconta la salita al Calvario, riflessa negli stati d'animo di cinque diversi gruppi di persone, che diventano quasi cinque categorie umane. Si inizia con i genitori dei bimbi trucidati nella strage degli innocenti: sono anch'essi vittime del potere, ma, incapaci di prendersela con i veri responsabili dell'eccidio, riversano la loro ira furibonda contro il "ciarlatano" Gesù. La strage degli innocenti, com'è noto, è un episodio narrato nel Vangelo di Matteo (Mt 2,16). Tuttavia, è il vangelo apocrifo di Nicodemo a metterla esplicitamente in relazione con la condanna a morte di Gesù:
Gli anziani degli Ebrei dissero a Gesù: «Che cosa vedremo? Anzitutto che sei nato da fornicazione; in secondo luogo, che la tua nascita a Betlemme fu la causa di una strage di bambini; in terzo luogo, che tuo padre Giuseppe e tua madre Maria fuggirono in Egitto perché non godevano della fiducia del popolo».
Le vedove, al contrario, a stento nascondono il loro dolore. Marginalizzate e prive di ogni diritto nella società ebraica antica, avevano trovato in Gesù misericordia e riscatto: viene qui menzionato il famoso episodio del perdono dell'adultera riportato nel Vangelo di Giovanni.
E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei». […] Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi. Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed essa rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più».
Seguono i discepoli di Gesù, nascosti tra la folla, bocche chiuse per non essere scoperti e condannati a loro volta a morte. Nel momento cruciale, decidono di non dare testimonianza, anche se saranno poi loro, cresciuti nella fede, a diffondere per il mondo la "buona novella". Il tradimento degli apostoli, di Pietro in particolare, è un tema importante nei Vangeli canonici:
«Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli». E Pietro gli disse: «Signore, con te sono pronto ad andare in prigione e alla morte». Gli rispose: «Pietro, io ti dico: non canterà oggi il gallo prima che tu per tre volte avrai negato di conoscermi».
C'è poi "il potere vestito d'umana sembianza", i capi del Sinedrio. De André se li immagina mentre tirano un sospiro di sollievo, ora che Gesù è neutralizzato e l'ordine ristabilito; al tempo stesso temono che il suo insegnamento possa fare breccia tra i poveri; proprio loro sono i grandi assenti in questa scena. Anche secondo i vangeli canonici, i sommi sacerdoti sono ipocriti: si preoccupano spasmodicamente dell'opinione pubblica, che tentano in ogni modo di manipolare a loro favore.
Gli scribi e i sommi sacerdoti cercarono allora di mettergli addosso le mani, ma ebbero paura del popolo. Avevano capito che quella parabola l'aveva detta per loro. Postisi in osservazione, mandarono informatori, che si fingessero persone oneste, per coglierlo in fallo nelle sue parole e poi consegnarlo all'autorità e al potere del governatore.
Ed infine ci sono due persone che, loro malgrado, hanno "un posto d'onore" in questa macabra cerimonia. Due presone che più di ogni altro hanno imparato sulla loro pelle come funzionano i meccanismi del potere: sono di due ladroni che saranno crocifissi con Gesù.
Insieme con lui furono crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra.
Qui de André si immagina un dialogo tra le madri dei tre condannati a morte: quelle dei ladroni rimproverano a Maria di piangere eccessivamente per quella che è "solo l'immagine di un'agonia", dal momento che suo figlio risorgerà dopo tre giorni.
Qui, in maniera forse un po' anacronistica, il cantautore dà voce ad una delle più antiche eresie nella storia del Cristianesimo, il Docetismo.
Negli anni successivi alla morte di Gesù, la nuova religione venne in contatto con gli ambienti filosofici neoplatonici, nei quali la materia veniva vista sotto una luce molto negativa. Questi gruppi negavano che Gesù si fosse incarnato, al contrario sostenevano che il suo corpo fosse un'immagine immateriale. Di conseguenza la sua nascita, passione, morte e resurrezione non sarebbero state che fenomeni apparenti.
De André, intento a sottolineare il volto umano di Cristo, mette in bocca a Maria una disperata confutazione: la prospettiva della resurrezione non cancella lo strazio di una madre che vede il figlio soccombere prematuramente al dolore ed alla morte. Essere "madre di Dio" non la sottrae alla sofferenza, anzi le impone un sacrificio supremo:
Non fossi stato figlio di Dio
t'avrei ancora per figlio mio
Come curiosità, notiamo che i nomi dei due ladroni, Tito e Dimaco, sono tratti dal Vangelo Arabo. Sebbene questo testo racconti l'infanzia di Gesù, l'episodio della crocifissione tra i due ladroni viene riportato sotto forma di profezia fatta durante la fuga in Egitto:
La signora padrona Maria vista la bontà di questo ladro verso di loro, disse: «Il Signore Dio ti sosterrà con la sua destra e ti concederà il perdono dei peccati».
Il signore Gesù rispose a sua madre, dicendo: «Di qui a trenta anni, o madre, gli Ebrei mi crocifiggeranno a Gerusalemme, e questi due ladri saranno alzati in croce insieme a me. Tito sarà alla mia destra e Dumaco alla sinistra. Dopo quel giorno, Tito mi precederà in paradiso».
Il testamento di Tito è forse la canzone più famosa di tutto l'album. Come abbiamo visto, il protagonista è ladrone che invoca in extremis la misericordia di Gesù:
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!».
Ma l'altro lo rimproverava: «Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male».
E aggiunse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno».
Gli rispose: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso».
È interessante vedere come De André rielabora la vicenda. Tito, parlando in prima persona, passa in rassegna i dieci comandamenti (Es 20,2-17 e Nm 5,6-21) e non ha difficoltà a riconoscere di non averne rispettato nemmeno uno. Tuttavia, per ognuno adduce una giustificazione. Il primo ed il secondo mettono in gioco il suo rapporto con un Dio che gli pare lontano ed imperscrutabile. Non condivide il sesto e l'ottavo, che gli sembrano addirittura immorali. Tutti gli altri sono facili da rispettare per chi ha una vita tranquilla ed agiata, ma praticamente impossibili per chi è nato come lui nella povertà e nello squallore.
Il suo attacco al decalogo può sembrare irriverente, forse a tratti blasfemo, ma in verità anche nella predicazione di Gesù c'è un invito forte a rileggere i comandamenti in un'ottica nuova. Non ci si può crogiolare in un falso senso di sicurezza per il solo fatto di averli rispettati alla lettera, né ci si può ergere a giudici di coloro che non lo fanno:
Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna.
Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore.
Avete anche inteso che fu detto agli antichi: Non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti; ma io vi dico: non giurate affatto.
Non giudicate, per non essere giudicati; perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati.
Si può quindi dire che il disorientamento di Tito di fronte ai comandamenti è in fondo la conseguenza dell'atteggiamento con cui le autorità religiose dell'epoca li interpretavano: ipocritamente, in una maniera tanto rigida e schematica da svuotarli di ogni senso.
Nella salita senza ritorno verso il Golgota, Tito osserva Gesù, ed ecco, forse per la prima volta in vita sua, il suo cuore si apre ad un sentimento nuovo, alla comprensione profonda del più grande dei comandamenti:
Io nel vedere quest'uomo che muore,
madre, io provo dolore.
Nella pietà che non cede al rancore,
madre, ho imparato l'amore.
In questo pezzo, che chiude e riassume l'album, De André rivela il suo pensiero in modo più aperto e fuori di metafora. Il Potere sfrutta il concetto di Dio per spingere gli uomini alla violenza, eliminando ogni peso di coscienza attraverso il concetto di perdono. È stato il Potere a voler trasformare Gesù in un Dio, con il solo obiettivo di manipolare le masse.
Per riscoprire l'autentico messaggio di Gesù, la Buona Novella che dà titolo all'album, bisogna quindi rimuovere questa soprastruttura costruita nel corso dei secoli; bisogna tornare a vedere in Gesù prima di tutto un uomo, un fratello.
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