A6 Torino-Savona: un'autostrada a metà

Ventiquattro novembre 2019: una frana si porta via il viadotto «Madonna del Monte» sulla A6 Torino-Savona. Non si registrano vittime —quasi per miracolo— ma l'incidente riporta al centro dell'attenzione quest'autostrada, a lungo considerata una delle più pericolose d'Italia.

Se guardiamo alla sua storia, possiamo cogliere pregi e difetti tipici del nostro Paese: da una parte l'entusiasmo per le novità ed il genio creativo; dall'altra la cronica difficoltà nel gestire, proteggere, migliorare ciò che con tanto sforzo si è costruito. Questo porta ciclicamente a drammatiche situazioni di "emergenza", per uscire dalle quali si fa ancora una volta appello ad estro, creatività ed abnegazione. Purtroppo, il costo della sciattezza e disattenzione con cui si gestiscono le cose pubbliche si paga spesso non solo in euro, ma anche in vite umane.

La storia, dicevamo. Nel 1956 una cordata di aziende private, capitanate dalla FIAT, si aggiudica la concessione del primo lotto della A6: per andare da Savona a Ceva bisogna attraversare le montagne presso il Colle di Cadibona. Per costruire questo difficilissimo tracciato ci vogliono solo quattro anni, un successo davvero notevole. Dietro tanta celerità si nasconde però anche un piccolo "trucco": l'autostrada è costruita con una sola carreggiata. Nei suoi dieci metri e mezzo di larghezza vengono stipate tre corsie: una per senso di marcia più una centrale per il sorpasso. È un compromesso tutto sommato accettabile nei primi anni Sessanta, quando il numero di veicoli circolanti era bassissimo e l'ingombro delle vetture assai minore di adesso.

Il lotto Ceva-Fossano viene inaugurato nel 1965, anche questo a carreggiata unica. Qui la scelta comincia ad apparire discutibile, vuoi per l'impennata del traffico in quegli anni, vuoi perché il tracciato si sviluppa in un territorio in prevalenza collinare o pianeggiante. Si persevera nello stesso errore anche durante costruzione del tratto finale Fossano-Torino, ultimato nel 1972: la seconda carreggiata ed il guard-rail centrale si trovano solo nei primi quattordici chilometri, tra il capoluogo e la barriera di Carmagnola. Addirittura, tra Carmagnola e l'area di servizio Coloré la seconda carreggiata esiste, ma non viene aperta al pubblico: è invece precettata dalla FIAT come pista per prove ad alta velocità.

Ben presto ci si rende conto che quella corsia di sorpasso centrale è un pericolo tremendo e causa un numero spropositato di incidenti, soprattutto quando c'è la nebbia, fenomeno peraltro tutt'altro che raro. Così tra il 1960 e il 1979 ben 210 persone perdono la vita e duemila rimangono ferite su quella che era ormai soprannominata l'«autostrada della morte».

I lavori di "raddoppio" cominciano con una certa rapidità: tra il 1973 e il 1976 vengono costruiti sedici chilometri di seconda carreggiata tra Savona ed Altare, tutti in variante. Poi però qualcosa si inceppa: nei sedici anni successivi nulla si muove. In un clima di profonda crisi economica, la FIAT perde interesse nell'autostrada, che nel 1983 viene ceduta all'IRI. Nemmeno l'intervento pubblico sblocca la situazione. Bisogna aspettare il 1992 per vedere inaugurato il secondo lotto del raddoppio: sono i diciassette chilometri tra la barriera di Carmagnola e Coloré, ricavati in maggioranza sul sedime della ex Pista FIAT. Nei tre anni successivi la seconda carreggiata viene prolungata fino a Marene.

Nel 1995 entra in servizio la seconda carreggiata in due tratti di montagna: tra Priero e Rivere e tra Altare e Montecala. All'alba del terzo millennio in alcuni segmenti della A6 si viaggia ancora su carreggiata unica, con la corsia centrale chiusa al traffico e dipinta a zebre. Nel 2000 è la volta del segmento da Rivere a Montecala. Nel frattempo, si lavora anche sui lotti tra Marene e Fossano e tra Ceva e Mondovì. Infine, nel 2001 viene completato il raddoppio su tutta l'autostrada, con la chiusura dell'ultimo lotto tra Fossano e Mondovì.

Per trasformare l'«autostrada a metà» in una vera autostrada ci sono voluti ventotto anni di lavori per 112 chilometri di lunghezza: quattro chilometri all'anno, undici metri al giorno. Un passo da lumaca causato da scarsi investimenti e pastoie burocratiche che purtroppo, come abbiamo visto, si è portato via le vite di troppe persone.

Anche il crollo del 24 novembre 2019 poteva essere una strage: trenta metri di impalcato precipitano nel vuoto quando una frana travolge un pilone del viadotto Madonna del Monte, uno di quelli costruiti nel 1956. Due giorni dopo il gruppo Gavio, che ora ha in concessione la A6, ha promesso di ricostruire que ponte in 4 mesi. Ci piacerebbe che la stessa solerzia venisse applicata alla manutenzione straordinaria di tutto il tracciato di questa sofferta autostrada.

Archeologia industriale sulla A6

Esplorando il tracciato della A6 su Google Maps si fanno scoperte interessanti, che rivelano la complessa storia dell'autostrada. Ho suddiviso le immagini in pagine che corrispondono grossomodo ai grandi lotti del raddoppio del tratto di montagna.

Fonti e approfondimenti

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